Blues deriva dall’espressione “to have the blue devils” (letteralmente: avere i diavoli blu) col significato di “essere triste” e per questo motivo, nella lingua inglese il colore blu viene comunemente associato alla sofferenza, alla tristezza e all’infelicità.
Il blues è una forma musicale vocale e strumentale la cui forma originale è caratterizzata da una struttura ripetitiva di dodici battute e dall’uso, nella melodia, delle cosiddette blue note.
Le radici del blues sono da ricercare tra i canti delle comunità di schiavi afroamericani nelle piantagioni degli stati meridionali degli Stati Uniti d’America (la cosiddetta Cotton Belt). La struttura antifonale (di chiamata e risposta) e l’uso delle blue note (un intervallo di quinta diminuita che l’armonia classica considera dissonante e che in Italia valse al blues il nomignolo di musica stonata) apparentano il blues alle forme musicali dell’Africa occidentale.
Molti degli stili della musica popolare moderna derivano o sono stati fortemente influenzati dal blues.
Sebbene ragtime e spiritual non abbiano la stessa origine del blues, questi tre stili musicali afroamericani si sono fortemente influenzati tra loro. Altri generi sono derivazioni o comunque sono stati fortemente influenzati da questi: jazz, bluegrass, rhythm and blues, talking blues, rock and roll, hard rock, hip-hop, musica pop in genere.
La ricerca musicale di molti artisti ha portato il blues, e soprattutto il jazz, a contatto con molteplici realtà musicali, creando stili sempre nuovi e differenti.
Le origini del blues
Come per molte forme di musica popolare, le origini del blues sono oggetto di molte discussioni.
In particolare, non c’è una precisa data di nascita per questo genere musicale: la traccia più antica di una forma musicale simile al blues è il racconto che, nel 1901, fece un archeologo del Mississippi, descrivendo il canto di lavoratori neri che sembra avere affinità melodiche e liriche con il blues. Non è, dunque, possibile stabilire con esattezza una data che segni l’origine del genere, tuttavia un anno fondamentale fu il 1865, anno dell’abolizione della schiavitù negli Stati Uniti d’America: ottenuta la libertà, numerosi ex schiavi-musicisti iniziarono a portare la loro musica fuori dalle piantagioni e, nel giro di qualche decennio, questo genere fu noto ai più fino a giungere alle prime attestazioni che ci sono pervenute.
Uno dei più importanti antenati del blues è senz’altro lo spiritual, una forma di canto devozionale nato dalle riunioni di devoti durante il Grande risveglio dei primi anni del XIX secolo. Di argomento malinconico e appassionato, rispetto al blues gli spiritual avevano accenti meno personali e rivolti alla persona del cantante, riferendosi spesso alla condizione dell’umanità in generale e al suo rapporto con Dio, e i testi erano corrispondentemente meno profani.
Altri antenati del blues vanno cercati fra le work song (canzone di lavoro) degli schiavi di colore (field hollers) e di altra provenienza (canti dei portuali o stevedore; canti dei manovali o roustabout), che risuonavano in America all’epoca della Guerra di secessione (e anche negli anni successivi, in cui la condizione di soggezione e povertà degli afroamericani persistette nonostante l’abolizione della schiavitù). Da questi il blues ereditò probabilmente la sua struttura di call and response (“chiamata e risposta”), di origine Africana, mutando invece la sua struttura armonica e strumentale dalla tradizione europea.
Molte delle caratteristiche del blues, a cominciare dalla struttura antifonale e dall’uso delle blue notes, possono essere fatte risalire alla musica africana. Sylviane Diouf ha individuato molti tratti, tra cui l’uso di melismi e la pesante intonazione nasale, che fanno pensare a parentele con la musica dell’Africa centrale e occidentale. L’etnomusicologo Gerhard Kubik, professore all’Università di Magonza, in Germania, e autore di uno dei più completi trattati sulle origini africane del blues (Africa and the Blues), è stato forse il primo ad attribuire certi elementi del blues alla musica islamica dell’Africa Centrale e Occidentale:
- “Gli strumenti a corda (i preferiti dagli schiavi provenienti dalle regioni islamiche) erano generalmente tollerati dai padroni che li consideravano simili agli strumenti europei come il violino. Per questo motivo gli schiavi che riuscivano a procurarsi un banjo avevano più possibilità di suonare in pubblico. Questa musica solista degli schiavi aveva alcune caratteristiche dello stile di canzone Arabo-Islamica che era stata presente per secoli nell’Africa centro-occidentale“.
Bo Diddley in concerto a Praga nel 2005
Kubik fa inoltre notare che la tecnica, tipica del Mississippi e ricordata dal bluesman W. C. Handy nella sua autobiografia, di suonare la chitarra usando la lama di un coltello, ha corrispettivi in Africa. Anche il diddley bow,uno strumento casalingo fatto da una singola corda tesa su un asse di legno, che viene pizzicata modulando il suono tramite uno slide fatto di vetro, che si incontrava spesso nell’America meridionale agli inizi del Novecento, era di derivazione africana.
Nel corso della sua evoluzione, il blues acquisì alcune delle sue caratteristiche dalle “Arie etiopi”, gli spettacoli minstrel e dal ragtime. In questo periodo il blues, come testimoniato ad esempio dalle registrazioni di Leadbelly e di Henry Thomas, ha molte forme diverse, le più frequenti essendo le forme in dodici, otto o sedici battute basate sul giro tonica – sottodominante – dominante descritto nel seguito. La forma del blues standard in dodici battute fa la sua apparizione documentata nelle comunità afroamericane del tratto meridionale del Mississippi, sulla Beale Street di Memphis, e nelle orchestre bianche di New Orleans.
Struttura musicale e testi
Il blues ha una struttura relativamente semplice sia per la parte musicale che per quella del testo. Lo schema musicale fa uso prevalentemente della scala pentatonica minore (in Do: Do, Mib, Fa, Sol, Sib, Do) e della scala blues (in Do: Do, Mib, Fa, Fa#, Sol, Sib, Do) e si snoda lungo tre frasi da quattro battute ognuna, basate su tre accordi fondamentali.
La sua struttura metrica è generalmente di 12 misure (o battute), ma esistono anche blues di 16 o 24 misure, generalmente grazie all’introduzione di segmenti addizionali di 4 misure con varie funzioni e strutture tematiche. Armonicamente presenta la progressione tipica tonica-sottodominante-dominante, distribuita sulle dodici misure. La melodia o il canto hanno un impianto antifonale di domanda-risposta, solitamente divisa in tre parti: domanda nelle prime 4 misure, risposta nelle successive 4 e conclusione nelle ultime. Il blues produce un senso di indefinitezza tonale, dato dall’uso di scale pentatoniche e del loro adattamento alle varie scale europee. Il terzo grado e il settimo della scala diatonica vengono abbassati. Si noti che questo comporta una dissonanza caratteristica tra l’armonizzazione (che nel blues maggiore, usa terze maggiori) e la melodia (le cui scale tipiche usano terze minori): questo modo di cantare in minore su maggiore rappresenta una delle ambiguità tipiche del blues.
Nel caso del blues in 12 misure, il testo si articola in versi di tre strofe in cui le prime due si ripetono e, generalmente, è molto esplicito, con frequenti riferimenti al sesso.
Quantunque il blues abbia struttura, schemi musicali e sonorità affini al gospel si oppone a quest’ultimo proprio per la caratteristica di empietà dissacratoria che, spesso, lo accompagna che mal si adatta ai temi sacri trattati dai gospel cantati dai predicatori nelle comunità cristiane. Raramente in brani blues è possibile cogliere virtuosismi strumentali o tecniche raffinate poiché si tratta di un genere “povero” basato sulle emozioni, sull’anima dell’esecutore ma anche dell’ascoltatore. La semplicità stessa dei temi e della struttura permette a questo genere di essere eseguito con strumentazioni al limite dell’essenziale.
lo strumento che fu più utilizzato dai primi musicisti neri liberati dalla schiavitù (a parte l’elastico inchiodato alla tavola) fu la cigar box, una specie di chitarra a due, tre o quattro corde che come corpo recava spesso una scatola di sigari, ma andavano bene anche altri contenitori, legno o metallo, le corde abbastanza alte ne permettevano un uso agevole con lo slide (cilindro di vetro ricavato dal collo di una bottiglia) ma precludevano l’uso delle dita della mano sinistra sulla tastiera, anche per il fatto che la tastiera non recava tasti di riferimento, era tutto lasciato all’orecchio del musicista. l’uso della chitarra fu la naturale conseguenza, l’esigenza di esibirsi in locali sempre più importanti con altri musicisti ne impose l’uso. l’armonica è l’altro strumento più usato nel blues, in definitiva si può dire che tutti gli strumenti esistenti sono stati usati per fare blues, i neri d’America hanno usato questi perché economici e di facile reperibilità.
Approfondiamo…
Il blues si basa su una scala in cui la terza e la settima note vengono intonate in maniera imprecisa, quasi come se fossero abbassate di un semitono rispetto alla scala maggiore normale. L’uso di questa scala conferisce alle melodie un carattere più triste e indefinito, a metà strada fra maggiore e minore, che caratterizzerà tutti la musica jazz.
La struttura dei brani si basa su frasi di dodici battute, suddivise in tre gruppi di quattro battute ciascuno secondo lo schema AAB. Il testo si basa su due brevi frasi, la prima delle quali viene ripetuta. Su questo schema saranno costruiti moltissimi temi usati dai musicisti jazz.
I blues hanno una struttura responsoriale (cioè a domanda e risposta) che richiama quella dei canti di lavoro e degli spirituals; in questo caso però la domanda (che occupa circa due battute e mezzo) viene cantata (dal solista o dal coro), mentre la risposta (che occupa circa una battuta e mezzo) è affidata agli strumenti.
In un primo tempo si usava soltanto il banjo, strumento a corde di origine africana; in seguito si utilizzarono anche la chitarra e il pianoforte.
In evidenza – Blues: perché si chiama così?*
Il blues ha radici profonde nella storia americana, in particolare la storia degli afroamericani. Nasce nelle piantagioni del Sud nel 19° secolo: i suoi “inventori” erano schiavi, ex schiavi e discendenti degli schiavi afro-americani mezzadri, che cantavano lavorando nei campi di cotone e nelle piantagioni di tabacco. È generalmente accettato che il blues si sia evoluto proprio dai canti spiritual africani e dai canti di lavoro.
Il nome però ha un’altra orgine: viene dal modo di dire inglese del 18° secolo blue devils (diavoli blu), usato per indicare le intense allucinazioni visive che possono accompagnare una grave astinenza da alcol. Abbreviata nel corso del tempo in blues, l’espressione ha iniziato a descrivere gli stati di agitazione, delirio, depressione o ubriachezza. Ancora oggi in inglese si usa winter blues per descrivere i disturbi stagionali dell’umore.
Secondo alcuni storici, la relazione tra blu e alcol potrebbe venire anche dalle leggi blu, che ancora vietano la domenica la vendita di alcol in alcuni stati degli Usa.
Non si conosce un “inventore del blues”, ma molti musicisti se ne sono attribuiti la paternità. Il diritto d’autore comunque lo data al 1912, quando “Dallas Blues” di Hart Wand divenne la prima composizione blues protetta da copyright. Ma gli esperti concordano che la definizione fosse precedente.
Quale differenza fra blues e jazz?*
Il blues è un canto afro-americano profano nato nella seconda metà dell’ 800. Trae origine dai canti degli schiavi neri delle piantagioni del sud degli Usa.
Il termine deriva dall’inglese “to feel blue”, (sentirsi malinconico). Il repertorio vocale del folklore africano a contatto con la cultura musicale dei bianchi assunse un andamento armonico, ma conservando l’incertezza modale tipica dei canti centro-africani.
Alla fine del secolo il blues si arricchì di una componente strumentale che, fusa con altri ritmi, generò tra il 1910 e il 1915 il jazz. Le sue caratteristiche: ritmo marcato, linguaggio strumentale basato sulla sincope e intermezzo improvvisato del solista, che esprime così la sua ispirazione e il suo stato d’animo di quel momento.