Il conte Cagliostro e il forte di San Leo

La vita del Conte Cagliostro

Decisamente il personaggio dalle tinte più forti che la Fortezza di San Leo abbia mai ospitato, il Conte di Cagliostro è stato per ben quattro anni prigioniero nella cella più spaventosa che sia mai stata costruita, chiamata il Pozzetto: essa era costituita da un ambiente privo di porte e sbocchi con l’esterno; l’unico contatto con il mondo era una piccolissima  finestrella sul soffitto, tramite la quale gli venivano consegnati i pasti. Cagliostro finì in prigione scampando alla pena di morte grazie ad una dichiarazione di pentimento per gli innumerevoli peccati  commessi scritta di suo pugno e diretta al Santo Padre. Questo misterioso ed affascinante personaggio fu un appassionato esoterista, massone, alchimista ed avventuriero:  caratteristiche che lo fecero condannare come eretico, assieme alle sue dimostrate malefatte. Cagliostro, il cui vero nome era Giuseppe Balsamo, nacque a Palermo nel 1743 da una modesta famiglia di commercianti di stoffe.  Sin da piccolo egli dimostrò la sua scarsa propensione all’educazione imposta e il suo forte spirito ribelle: alla prematura morte  del padre, egli fu affidato ad un collegio per orfani dai quali scappò varie volte; successivamente, fu assegnato al convento  dei Fatebenefratelli di Caltagirone, in cui si appassionò e studiò le erbe e le loro proprietà curative. In seguito tornò a Palermo per poi giungere a Messina, ove conobbe un certo Altotas (di esistenza incerta) che Cagliostro indicò  come suo primo maestro e che lo introdusse nell’Ordine dei Cavalieri di Malta nel 1766. Nel 1768 Cagliostro sposò la giovane Lorenza Serafina Feliciani, con la quale rimase per tanti anni e condivise viaggi e truffe di vario genere.

Cagliostro
Cagliostro

Inizialmente, Giuseppe tentò a Roma la carriera di disegnatore di documenti falsi in società con due conterranei; uno di questi,  tale Ottavio Nicastro, lo denunciò come falsario e lo costrinse alla fuga assieme alla moglie. Seguirono anni di fughe, di truffe, di arresti e di conoscenze importanti: Bergamo, Aix-en-Provence (dove conoscono Casanova),  Antibes (ove Lorenza comincia a concedersi alla carriera di prostituta d’alto bordo), Barcellona, Madrid, Lisbona, Londra. Qui Cagliostro tentò di intraprendere un mestiere onesto come disegnatore di pergamene, ma senza successo: ciò lo spinse ad una nuova  truffa ed a conoscere le prigioni londinesi a causa dei suoi debiti, ma venne presto salvato da uno dei ricchi amanti di Lorenza. Fuggirono successivamente in Francia, dove fecero la conoscenza dell’avvocato Duplessis, amministratore dei beni della marchesa de Prie.  La relazione carnale nata tra Lorenza e Duplessis si trasformò ben presto in amore, sentimento che spinse la donna a denunciare il marito  per sfruttamento della prostituzione. La controdenuncia di Giuseppe per abbandono del tetto coniugale la costrinse però a tornare con lui,  abbandonando qualunque sogno di rifarsi una vita onesta a fianco dell’avvocato. Dopo questa intricata e dolorosa serie di eventi,  la coppia compì altri viaggi: Belgio, Germania, Italia, Malta, Spagna e, nel 1776, Londra. Nella capitale inglese, dopo una serie infinita di truffe e finti prodigi, Cagliostro e la moglie si iniziarono alla Massoneria. In questi anni Giuseppe cominciò ad adottare regolarmente il nome di Alessandro Conte di Cagliostro e Lorenza il titolo di Serafina, Contessa di Cagliostro.

Si trasferirono in Olanda, poi in Germania, Lettonia, Francia: furono anni in cui Cagliostro seguitò a spacciarsi per medico,  guaritore, taumaturgo, medico, alchimista in grado di mutare il piombo in oro. Nel 1784 fondò a Bourdeaux il “Rito Egizio” una sorta di Ordine massonico- religioso, che tentò di far riconoscere dalla Santa  Sede tramite l’amicizia con il cardinale de Rohan, che lo considerava il suo maestro alchimista. Cagliosto si nominò “Gran Cofto” e nominò la moglie “Gran Maestra del Rito d’adozione”, la Loggia riservata alle donne. Obiettivo di questa esotica setta massonica era quello di riportare l’uomo, tramite un cammino spirituale, alla condizione precedente  alla caduta sulla terra a causa del peccato originale. Il progetto quasi raggiunto di Cagliostro di far accettare la sua organizzazione alla Chiesa Cattolica, fu però rovinato dal famoso  “Scandalo della collana” in cui egli e la moglie furono accusati di un reato non commesso; il Parlamento di Parigi li dichiarò innocenti,  ma intimò loro di lasciare la città. Si spostarono quindi a Londra, ma qui subirono una campagna diffamatoria continua da parte della stampa francese, che rese pubbliche  le loro reali identità ed i loro poco nobili trascorsi. Questa serie di eventi fece intorno alla coppia terra bruciata in fatto di amicizie altolocate: i massoni di Lione li accusarono di  usare per sé stessi il denaro della Loggia ed essi furono costretti a trasferirsi in Svizzera. Qui vissero per un breve periodo, per poi ripartire alla volta di Aix-les-Bains, Torino, Genova, Venezia, Verona, Trento.

In questa cittadina Cagliostro conobbe il principe vescovo Thun e mostrò grande deferenza per la fede cattolica, giustificando  la sua setta massonica come un qualcosa di non contrario alla religione. Un volta giunto a Roma, venne avvicinato ed ingannato  da due spie del Governo Pontificio, che gli chiesero di entrare nella Massoneria. Nel 1789 Cagliostro, Lorenza e frà Giuseppe (un affiliato alla Massoneria), furono incarcerati: le accuse contro il Conte erano  di eresia, di magia, di bestemmia contro Dio, di lenocinio, di falso, di truffa, di calunnia e di pubblicazione di scritti sediziosi,  tutte meritevoli di pena di morte. Nonostante il tentativo di difesa del suo avvocato, che voleva farlo passare come un comune ciarlatano, Cagliostro scrisse  al Santo Padre professandosi pentito e pronto a rimediare ai suoi errori conducendo una vita orientata alla fede cristiana. Queste dichiarazioni di buoni propositi gli risparmiarono la vita a favore del carcere perpetuo; la moglie Lorenza invece,  venne assolta poiché collaborò con le autorità. Cagliostro venne imprigionato nella cella chiamata Pozzetto presso la Fortezza di San Leo nel 1791; seguirono quattro anni di buoni propositi,  sfoghi mistici e rabbiosi fino alla sua morte nel 1795, prima della quale si rifiutò di ricevere qualsiasi sacramento. Gli ultimi anni di questo personaggio furono molto sofferti: rinchiuso in questa cella priva di porte e munita di una piccolissima finestrella  posta sul soffitto, egli spesso fu preda di attacchi di rabbia ricordando la sua vita trascorsa nei migliori palazzi d’Europa. Ubicata nella parte centrale del  mastio, la cella del Pozzetto ha dimensioni piuttosto anguste (metri  3×3). L’unica apertura è costituita da una piccola finestra, munita di  un triplice ordine di inferriate, rivolta verso la Pieve e la Cattedrale affinché questa risultasse, per il recluso, l’unica visione possibile.

Botola della cella di Cagliostro
Botola della cella di Cagliostro

Il 26 agosto 1795 il famoso  avventuriero, oramai gravemente ammalato, si spense a causa di un colpo  apoplettico. La leggenda che aveva accompagnato la sua fascinosa vita si impossessò anche della morte: dai poco attendibili racconti sulla sua  presunta scomparsa giunti fino ai giorni nostri, è possibile intravedere il tentativo, peraltro riuscito, di rendere immortale, se non il corpo, almeno le maliarde gesta di questo attraente personaggio. L’atto di  morte, conservato nell’archivio parrocchiale di San Leo, redatto in  latino dall’arciprete Luigi Marini, rende giustizia alla veridicità  delle vicende:
Giuseppe Balsamo, soprannominato Conte di Cagliostro,  di Palermo, battezzato ma incredulo, eretico, celebre per cattiva fama,  dopo aver diffuso per diverse Nazioni d’Europa l’empia dottrina della  massoneria egiziana, alla quale guadagnò con sottili inganni un numero  infinito di seguaci, incappò in varie peripezie, alle quali non si  sottrasse senza danno, in virtù della sua astuzia e abilità; finalmente  per sentenza della Santa Inquisizione relegato in carcere perpetuo nella rocca di questa città, con la speranza che si ravvedesse, avendo  sopportato con altrettanta fermezza e ostinazione i disagi del carcere  per quattro anni , quattro mesi, cinque giorni, colto da un improvviso  colpo apoplettico, di mente perfida e cuore malvagio qual era, non  avendo dato il minimo segno di pentimento, muore senza compianto, fuori  della Comunione di Santa M. Chiesa, all’età di cinquantadue anni, due  mesi e diciotto giorni. Nasce infelice, più infelice vive, infelicissimo muore il giorno 26 agosto dell’anno suddetto verso le ore 22,45. Nella  circostanza fu indetta pubblica preghiera, se mai il misericordioso  Iddio volgesse lo sguardo all’opera delle sue mani. Come eretico,  scomunicato, peccatore impenitente gli viene negata la sepoltura secondo il rito ecclesiastico. Il cadavere è tumulato proprio sulla estrema  punta del monte che guarda ad occidente, quasi ad uguale distanza tra i  due fortilizi destinati alle sentinelle, comunemente denominati il  Palazzetto e il Casino, sul terreno della Reverenda Camera Apostolica il giorno 28 alle ore 18,15.

La figura di Cagliostro, oggi come all’epoca, resta una delle più affascinanti e curiose mai esistite, ma anche inquietanti ed ambigue.

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La cella di Cagliostro a San Leo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il fantasma di Conte Cagliostro a Roma

Infine, c’è chi dice che in vicolo delle Grotte, dietro piazza Farnese, si maifesti il fantasma di Giuseppe Balsamo, più noto come Conte di Cagliostro, famoso esoterista, alchimista e massone del XVIII secolo, ma anche guaritore, falsario e truffatore. In questo vicolo, infatti, in una nota casa di piacere aveva conosciuto la futura moglie Lorenza Feliciani, all’epoca diciassettenne. Cagliostro svolse le due attività non solo per tutta Italia, ma anche in Inghilterra, Francia, Paesi Bassi, Svizzera, quasi sempre con Lorenza al seguito; sposata nel 1768, per arrotondare il bilancio familiare anche lei continuava a esercitare il proprio mestiere, compiacente il marito. Dopo un ventennio di innumerevoli peripezie per mezza Europa, tornati a Roma, fu la moglie stessa a
sporgere denuncia contro di lui, nel 1791. Venne accusato di una lista interminabile di reati, tra cui esercizio della magia, lenocinio, truffa, sedizione ed eresia; scampò la morte, ma fu condannato al carcere a vita, pena che scontò nella Rocca di San Leo, al confine tra le province di Rimini e Urbino e lo stato di San Marino, in una cella senza porte (vi fu calato da una botola sul soffitto); qui morì quattro anni dopo.
Nelle notti di luna si dice che Cagliostro torni in vicolo delle Grotte, chiamando il nome della dissoluta Lorenza.

La rocca di San Leo (Rimini)

La rocca di San Leo
La rocca di San Leo

San Leo si trova nell’entroterra di Rimini nella parte meridionale dell’Emilia Romagna, racchiuso tra la Toscana, le Marche e la Repubblica di San Marino.

La placca rocciosa, di formazione calcareo-arenacea, è il risultato della tormentata genesi che ha portato alla formazione del paesaggio della Val Marecchia, nota ai geologi come Coltre o Colata della Val Marecchia. I limiti della placca, nel caso di San Leo, sono interamente identificabili e coincidenti con i dirupi e gli strapiombi; il contatto con le argille sottostanti è sempre evidente.

Questa situazione rende San Leo un paradigmatico esempio ai fini della interpretazione della geologia locale e riassume, inoltre, notevoli, fenomeni geomorfologici, caratteristici della Val Marecchia. La straordinaria conformazione naturale del luogo ne ha determinato, dall’epoca preistorica, la doppia realtà di fortezza munita per natura e di altura inaccessibile e perciò sacra alla divinità.

San Leo, detta già Montefeltro, è situata a metri 583 s.m., a 32 km. da Rimini, nella Val Marecchia (SS 258), su un enorme masso roccioso tutt’intorno invalicabile;
vi si accede per un’unica strada tagliata nella roccia.

Sulla punta più alta dello sperone si eleva l’inespugnabile Forte, rimaneggiato da Francesco di Giorgio Martini, nel XV secolo, per ordine di Federico lll da Montefeltro.

L’antichissima città che fu capoluogo (dall’origine alla fine) della contea di Montefeltro e teatro di battaglie civili e militari per circa due millenni, assunse con Berengario II il titolo di Capitale d’ltalia (962-964). S. Leone (sec. IV d.C.) ne fu l’evangelizzatore.

La città ospitò Dante (“Vassi in San Leo…”) e S. Francesco d’Assisi, che qui ricevette in dono il Monte della Verna dal Conte Orlando di Chiusi nel Casentino (1213). Si conserva ancora la stanza ove avvenne il colloquio fra i due uomini.

Nel forte, trasformato in prigione durante il dominio pontificio, furono rinchiusi il Conte di Cagliostro, che vi morì nel 1795, e Felice Orsini (1844).

 

Fonti: www.san-leo.it, www.comune.san-leo.rn.it

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Pubblicato da djeguito

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